La forza nel segno. Corviale e il suo territorio 35 anni dopo

Alfonso Pascale e Pino Galeota – Associazione Corviale Domani

 

1. Siamo un partenariato locale formato da associazioni, enti, istituzioni di ricerca, operatori ed esperti di diversi ambiti disciplinari, che ha avviato un percorso di progettazione partecipativa dal basso con lo scopo di coinvolgere l’insieme della comunità di Corviale e quella dell’intero Quadrante della Città Capitale con cui interagisce, nel proporre un Piano Strategico condiviso in base ai principi della Carta di Lipsia sulle Città Europee Sostenibili. Si tratta di affrontare lo sviluppo urbano con un approccio globale: integrare politiche diverse; potenziare l’economia; creare e assicurare spazi pubblici e infrastrutture di qualità; progettare il territorio andando oltre l’urbano e il rurale; salvaguardare e valorizzare i beni paesaggistici e architettonici, sia storici che contemporanei; irrobustire il sistema della conoscenza; migliorare l’ambiente e l’efficienza energetica; favorire l’integrazione degli immigrati regolari come condizione per elevare i livelli di sicurezza. Federalismo, sussidiarietà ed economia civile dovranno essere i perni di uno sviluppo umano, i cui indicatori, oltre il livello del Pil, siano anche la coesione e la sostenibilità ambientale.

Il nostro percorso ha preso le mosse come aggregazione informale di un distretto d’arte, cultura, sport e tempo libero, che man mano si è andata arricchendo di nuovi apporti e ambiti tematici e la cui configurazione giuridica sarà il frutto di una decisione condivisa tra tutti i soggetti coinvolti.

2. Corviale è il simbolo di una progettualità ardimentosa e controversa che ha suscitato conflitti sul piano culturale, politico e sociale tra estimatori da una parte e detrattori dall’altra: i primi fermamente convinti di trovarsi dinanzi ad un’opera architettonica d’alto valore artistico e portatrice di una forma dell’abitare funzionale alle nuove sensibilità del mondo contemporaneo; gli altri, viceversa, accomunati dall’idea di trovarsi alle prese di un’opera mostruosa, negatrice di valori umani e sociali. Una diatriba diventata, nel frattempo, obsoleta essenzialmente per due motivi. Il primo attiene al senso che quel luogo ha prodotto nella stragrande maggioranza dei suoi abitanti, a partire dalle nuove generazioni, nei 35 anni trascorsi dalla realizzazione dell’imponente edificio: luogo identitario e parte costitutiva del paesaggio in cui la comunità locale si è venuta via via riconoscendo. Il secondo riguarda il fatto che si è definitivamente concluso il ciclo storico di cui è figlia questa particolarissima e radicale forma dell’abitare. Essa, infatti, appartiene ad una cultura architettonica e urbanistica che ha fatto il suo tempo, strettamente legata ad un modello di welfare che vede nettamente separata, dal versante delle funzioni e dei meccanismi regolativi, la produzione di ricchezza da una parte e gli interventi abitativi, sociali, educativi, culturali dall’altra, da realizzare con politiche di tipo redistributivo e gestite direttamente dalla mano pubblica. Una cultura architettonica e urbanistica strettamente legata anche ad una visione urbanocentrica del governo del territorio, che vede nettamente sconnesse le funzioni della città da quelle svolte dalla campagna.

Non a caso il complesso edilizio di Corviale ha potuto esprimere solo la sua capacità abitativa, mentre non si è sviluppata la sua dimensione riferita ai servizi, benché costituisse un suo elemento essenziale. E la causa di siffatta incompiutezza non va ricercata solo nell’incapacità di governare la fase iniziale d’insediamento della comunità nell’edificio, bensì nella crisi del modello architettonico e urbanistico e nel progressivo e inesorabile restringersi delle vecchie politiche pubbliche.

E’ per questo che non vi è più motivo di attardarsi nell’antica diatriba tra estimatori e detrattori oggi accomunati dall’idea di trovarsi dinanzi ad una progettualità in ogni caso intempestiva e travolta, sin dalle prime fasi della sua realizzazione, da epocali cambiamenti economici, sociali, culturali e  climatici, che hanno investito in profondità le forme della globalizzazione e dell’urbanizzazione, i modelli di welfare e di governo del territorio, nonché il senso stesso del luogo e dell’abitare.

3. Anche in virtù dei conflitti che l’hanno attraversato, riteniamo che Corviale costituisca ora un segno identitario imprescindibile, la cui forza derivi dalla ricerca di una comunità di riappropriarsi del suo destino e di guardare con attenzione al nuovo mondo che la circonda. Da problematico aggregato insediativo può trasformarsi in aggregatore di socialità positive. Da tempo, infatti, la Città Capitale non cresce più come espansione di nuove articolazioni di un unico insediamento originario. Si sono sviluppate ulteriori centralità per dinamiche sociali autonome. Inoltre, Roma non cresce più in assoluto e perde quote significative di abitanti, mentre ha preso corpo di fatto un’area metropolitana di ingenti dimensioni che pone l’esigenza di risolvere, in siffatta scala, problemi sociali fondamentali che si sono acutizzati nell’ultimo periodo. Sia all’interno della Città Capitale che nei Comuni vicini, frammenti urbanizzati si alternano con residui di ambienti rurali e con aree di manufatti ereditati dal passato, dando luogo ad insediamenti promiscui. In contiguità con quest’ultimi si estendono, d’altro canto, aree tutelate all’interno di parchi urbani o regionali dove verde urbano, ville e zone a colture di orti inglobano in vario modo casolari, granai e stalle del passato. Ad esempio, Corviale convive con due Riserve Naturali d’inestimabile valore estese per 1350 ettari.  Permane altrove, nelle zone di minore densità abitativa, la campagna tradizionale, come si è strutturata dopo gli interventi di bonifica e riorganizzazione fondiaria degli inizi del XX secolo e dopo la riforma agraria dei successivi anni Cinquanta-Sessanta, alternando aziende di dimensioni diversificate. Infine, vi sono zone nelle quali la campagna è attrezzata secondo esigenze che non corrispondono più alla tradizionale funzione di produzione agroalimentare ma ad una domanda di servizi nuovi che i cittadini richiedono: aziende agro-ambientali, agriturismi, fattorie sociali, centri sportivi e per il tempo libero, maneggi, body farm, cliniche per animali, vivai, ecc.

4. Si sono rese più complesse le attese nei confronti degli spazi agricoli e dei sistemi di relazione in cui sono integrati e implicati. Le villettopoli dei ricchi convivono coi tuguri degli immigrati. La ricerca di senso e di nuovi stili di vita, da parte di persone provate dal disagio contemporaneo, s’incrocia coi bisogni abitativi di giovani coppie e di nuovi poveri. Dunque, un nuovo mondo, composito e promiscuo, è protagonista di un fenomeno ancora sottovalutato, che va sotto il nome di “rurbanizzazione”: un sovrapporsi di urbanizzazione e ruralizzazione, una sorta di continuum urbano-rurale, in cui è sempre più difficile distinguere ciò che è città da ciò che è campagna.

La dimensione “rurbana” fa emergere con maggiore evidenza che in altri contesti iniziative innovative come i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) o i Mercati Agricoli di vendita, che ripropongono la cultura del cibo locale o filiera corta, come riconnessione del legame tra produttore e consumatore e tra spazio urbano e spazio rurale e come garanzia di accesso al cibo di qualità soprattutto nelle aree dove si concentra la popolazione a più basso reddito.

Alla luce di questi fenomeni, siamo convinti che occorra conciliare le esigenze di tutela agroambientale e storico-culturale con quelle relative alla vita sociale ed economica, per porre le aree agricole nella condizione di produrre cibo sano e di qualità e fornire servizi sociali, culturali, turistici e ambientali in modo sostenibile, nonché per garantire reale vivibilità ai frammenti urbani.

Oggi la riscoperta della multifunzionalità dell’agricoltura e le componenti strategiche che si vanno affermando nella pianificazione territoriale potrebbero consentire di perseguire più ampi e organici obiettivi di tutela del territorio, sviluppo locale, interazione nel rapporto urbano-rurale. Ci vorrebbe un nuovo approccio interdisciplinare che permetta di integrare l’agricoltura e il sistema alimentare nella crescita urbana, creare attività innovative capaci di forgiare modelli di visione e di dare ad essi valore estetico e avviare percorsi condivisi di sviluppo intesi come nuove costruzioni sociali. Co-housing, agricoltura sociale, orti urbani, food hubs, economia di comunione sono soltanto alcuni esempi di  innovazioni organizzative, in cui le dicotomie città/campagna, modernità/tradizione, complesso/semplice fanno spazio a forme reali, possibili e sostenibili dell’abitare.

5. Proponiamo di progettare il territorio di Corviale secondo i principi della Convenzione europea sul Paesaggio che definisce “obiettivo di qualità paesaggistica” la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti “delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita”. Il che significa fondare lo sviluppo del territorio di Corviale sull’equilibrio tra bisogni sociali, attività economiche e ambiente e sull’aspirazione della popolazione locale di svolgere un ruolo attivo nelle trasformazioni del proprio paesaggio quale elemento fondamentale del patrimonio storico e culturale del Quadrante e fattore di sviluppo. In siffatto contesto diventa decisiva un’azione mirata a promuovere e assicurare spazi pubblici e collettivi, intesi come luoghi di socialità, convivialità, creatività, integrazione e sicurezza. Si tratta di introdurre modelli di welfare che permettano di promuovere processi economico-produttivi capaci di generare ricchezza e contestualmente spazi collettivi e beni relazionali, quali arte, cultura, salute, conoscenza, ecc., potenziando un’economia civile e mercati sociali in grado di creare benessere e rafforzare i legami comunitari. Siffatti modelli dovranno sperimentare e codificare, sul territorio di Corviale, nuovi indicatori di ben-essere da introdurre tra le voci attive dei bilanci pubblici, sia a livello locale che nazionale.

Riteniamo, altresì, che gli spazi e gli interessi pubblici debbano essere pianificati e gestiti in base al principio di sussidiarietà per superare la pianificazione centralizzata e uniforme e collocare l’esercizio di competenze statali, regionali e comunali all’interno di dimensioni commisurate agli insediamenti attuali e possibili.

Va, inoltre, superata la separazione tra la dimensione istituzionale (Stato, Regione, Comune) e quella della società civile, integrando nei processi di elaborazione e di controllo sia le molteplici competenze tecnico-scientifiche necessarie, sia i gruppi sociali e culturali presenti sul territorio.

 

6. Siamo persuasi che, accanto allo spazio pubblico e a quello privato, andrebbe concettualizzato anche un “terzo spazio” costituito dall’agricoltura periurbana, da introdurre anch’essa nell’elaborazione degli strumenti urbanistici. Finora la sola tutela dei terreni agricoli dall’edificazione non è stata, infatti, sufficiente a garantirne il mantenimento perché tali aree, prive di una funzione specifica corrispondente alla propria vocazionalità e alle esigenze di una comunità, diventano “non luoghi” in attesa di essere edificati.

Si tratta di creare le condizioni per superare la separazione tra urbano e rurale e promuovere sviluppo economico e sociale guardano al territorio nel suo insieme, eliminando una sorta di “divisione del lavoro” tra chi pianifica e realizza i quartieri e i servizi tradizionalmente considerati urbani e ne gestisce le problematicità e chi, invece, è addetto alla pianificazione e gestione delle aree agricole, a partire da quelle protette.

Per progettare le attività produttive e i servizi che si potrebbero svolgere nelle aree agricole periurbane occorrerebbe programmare un mix di azioni: un’indagine precisa sugli andamenti demografici e sul mercato del lavoro del territorio di riferimento; un’inchiesta a tappeto dei bisogni sociali a livello locale; una verifica dei bisogni più suscettibili di tradursi in domanda strutturata di prodotti e servizi; una disamina delle problematiche riguardanti l’offerta di servizi e di prodotti di qualità da parte delle strutture agricole; un percorso formativo per soggetti imprenditoriali di tipo privatistico e non lucrativo a cui affidare la gestione dei patrimoni pubblici, in base a capitolati che prevedano chiari indirizzi di utilità sociale; forme di partecipazione attiva per promuovere utilizzi produttivi e “terziari” del patrimonio privato (casali, ecc.) in un’ottica intersettoriale e integrata che ponga al centro i bisogni sociali e abitativi nel rispetto delle risorse ambientali e paesaggistiche.

 

7. Dobbiamo e vogliamo essere consapevoli che la tecnologia, il web e il sistema di connessione digitale  stanno ridefinendo nuovi modi di organizzare la vita e i rapporti sociali, terremotando i modelli di produzione e  le organizzazioni  in cui si era definito il sistema dell’informazione e della comunicazione e, nel contempo, riarticolando la nuova geografia dei lavori, delle professioni, delle relazionalità  di cui questa rivoluzione multimediale necessita. Le stesse modalità della decisione democratica sono investite da siffatti cambiamenti. Ma per decodificare e valutare in modo adeguato il continuo ed enorme flusso informativo occorre potenziare la formazione permanente che resta la via maestra per accedere alla conoscenza, diventare più liberi e rafforzare i legami comunitari.

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